MONTESQUIEU ADDIO
Un primo commento alla proposta governativa di modifica della Costituzione in materia di giustizia
L’ordinamento giudiziario nella Costituzione
Il cardine sul quale si regge lo Stato moderno, caratterizzato per la sottomissione del potere al rispetto delle regole del diritto, è il principio della separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
La separazione dei poteri, che si è storicamente affermato nel corso di lunghi secoli e aspre lotte tra Corona e Parlamento in Inghilterra, rispondeva e risponde tuttora all’esigenza primaria di garantire la libertà degli individui, attraverso un sistema di contrappesi e controlli capaci di evitare un uso arbitrario del potere “il potere limiti il potere”scriveva Montesquieu, e di rendere più efficiente lo Stato costretto ad agire nel rispetto di regole predefinite.
Il principio mirava prima di tutto a garantire i diritti dei sudditi – cittadini nei confronti del potere ed in secondo luogo, più come un effetto, ad ottenere un miglior funzionamento dello Stato.
Il potere dello Stato rimane unico, ma è suddiviso nelle modalità del suo manifestarsi.
Ciascuno dei tre fondamentali poteri è affidato ad un complesso di organi con al vertice uno o più organi costituzionali fra di loro coordinati.
L’articolazione separata dei poteri e lo stesso principio della separazione inevitabilmente determinano un confronto dialettico e una contrapposizione e ciò comporta una tendenza potenzialmente centrifuga del sistema.
Infatti, se ogni potere esercitasse esclusivamente la funzione ad esso attribuita, senza alcun collegamento con gli altri, l’attività dello Stato sarebbe pervasa da un costante conflitto, determinato dalle reciproche interferenze, che lo porterebbero alla paralisi ed alla sua dissoluzione.
Il coordinamento tra i poteri è dunque una condizione essenziale per il buon funzionamento dello Stato.
In materia di giurisdizione il principio di separazione dei poteri trova conferma nel riconoscimento costituzionale dell’autonomia e dell’indipendenza dei giudici da ogni altro potere (art. 104, c. 1, Cost.), garantite dalla soggezione del giudice esclusivamente alla legge (art. 101, c. 2, Cost.).
Le stesse garanzie di indipendenza sono estese al Pubblico Ministero (art. 107, c. 4, Cost.), il quale ha l’obbligo di esercitare l’azione penale (art. 112, Cost.) nell’interesse generale della collettività.
In funzione dell’indipendenza dei giudici opera il principio della loro inamovibilità, se non dal Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso (art. 107, c. 1, Cost.).
Al potere esecutivo sono attribuiti compiti essenzialmente di natura organizzativa e strumentale (art. 110, Cost.), mentre al Ministro di giustizia è attribuita la facoltà di promuovere l’azione disciplinare (art. 107, c. 2, Cost.).
Strumento di garanzia per l’effettiva indipendenza organizzativa è il CSM, organo di rilevanza costituzionale, cui spettano le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati, secondo le norma dell’ordinamento giudiziario (art. 105, Cost.). Il CSM può esprimere indirizzi e formulare proposte sulle questioni inerenti la giustizia (legge istitutiva).
Il CSM è presieduto dal Presidente della Repubblica ed è composto da 24 membri letti per due terzi dai magistrati e per un terzo dal Parlamento, ne fanno parte di diritto il primo Presidente e il Procuratore generale della Corte di Cassazione (art. 104).
Le “interferenze” tra i poteri preordinate ad assicurare collaborazione e tra i poteri ed il loro coordinamento si risolvono nei poteri organizzativi del Governo, nell’azione disciplinare ed ispettiva affidata anche al Ministro della giustizia, nella partecipazione dei esponenti eletti dal Parlamento nel CSM, nella sua possibilità di manifestare giudizi e formulare proposte sempre in materia di giustizia.
L’ordinamento giudiziario nella proposta governativa di modifica della Costituzione
Il Governo nell’elaborazione della sua proposta si è deliberatamente mosso nel dichiarato intento di voler riequilibrare i rapporti tra politica e magistratura, giudicati ormai pericolosamente spostati a favore di quest’ultima.
Il progetto nel suo complesso tende, da un lato a “ridurre” la condizione costituzionale della magistratura in quanto tale in una condizione di minorità nei confronti del Governo, e per altro lato ad incrementare l’intervento della politica nell’esercizio della funzione che le compete.
La proposta rubrica diversamente il titolo IV dell’ordinamento della Repubblica, mentre nella vigente Costituzione esso è intitolato “La magistratura”, nella proposta di legge risulta invece intitolato “Giustizia”. Nel sistema della vigente Costituzione la magistratura è configurata come avviene per la intitolazione delle rubriche dei titoli precedenti (Parlamento, Presidente della Repubblica, Governo), con riferimento ad un potere, nel senso che questo termine/concetto ha nella teoria classica della divisione dei poteri. Ciò non significa che esso debba essere considerato alla stregua degli organi di determinazione dell’indirizzo politico – del resto un titolo precedente è rubricato al P.d.R., organo di garanzia – ma che la magistratura, in quanto tale, è chiamata a svolgere nell’ordinamento della REPUBBLICA una funzione di sicura rilevanza costituzionale e che quindi costituisce, in questo senso, un potere dello Stato. La proposta di rubricare diversamente il titolo IV assume il chiaro significato di impedire che la magistratura in quanto tale sia collocata con altri poteri in questa condizione costituzionale.
L’operazione perseguita non può certo essere considerata puramente formale o addirittura solo nominalistica; questa diversa denominazione del titolo può costituire un criterio interpretativo dello stesso in cui l’esercizio della funzione giurisdizionale non ha più un titolare in un potere espressamente indicato dalla Costituzione.
Rafforzano queste considerazioni anche altre disposizioni della proposta: il titolo della sezione I “ordinamento giudiziario” è sostituito con “organi”, denunciando chiaramente l’intento di volersi discostare dalla concezione che la giurisdizione in quanto tale abbia un proprio ordinamento; in questo medesimo senso orienta la nuova intitolazione della II sezione che rifugge dall’idea che si possa configurare un ordinamento autonomo.
L’avanzamento della politica: anche a questo proposito, in una visione complessiva – e rimandando alle più puntuali osservazioni che seguono sui singoli istituti – il ruolo crescente della politica è di tutta evidenza. Nei due CSM, dei giudici e dei PM, l’alterazione rispetto alla vigente Costituzione del rapporto tra componenti togate e componenti laiche depone chiaramente in tal senso. E’ difficile continuare a vedere nei CSM organi di autogoverno; nella vigente Costituzione la componente parlamentare ha il virtuoso significato di impedire che l’autogoverno diventi autoreferenzialità corporativa; nel progetto la componente parlamentare eguaglia numericamente la componente dei giudici, alterando il significato dell’organo (non ci può mai essere una decisione assunta senza l’assenso della componente politica che da garanzia diventa decidente). A conferma ulteriore del depotenziamento dei CSM quali organo di autogoverno, sono le norme che sottraggono sia le funzioni di proposta e di indirizzo in materia di ordinamento giudiziario, attualmente attribuite al CSM dalla legislazione di attuazione dell’art. 105 (v. art. 10, l . n. 195/1958), ma anche, e soprattutto, la competenza sanzionatoria per eventuali illeciti disciplinari che sarebbe attribuita alla neo-istituita Corte di disciplina (art. 105-bis DDL). Nello stesso senso depone la sottrazione della disciplina al CSM e la sua attribuzione a un organo che presenta questo medesimo carattere per quanto riguarda le due componenti.
Sempre in questa direzione dispone la norma del progetto che riserva al Ministro della giustizia la relazione annuale alle Camere, quando in dottrina, proprio a questo proposito, si era spesso sostenuto che la partecipazione del CSM alla formazione e alla trasmissione della relazione fosse opportuna per impedire che fosse solo l’esecutivo a fornire dati conoscitivi al Parlamento.
A giudicare dal contenuto del nuovo testo dell’art. 110, c. 2, DDL, sembrerebbe invece che il legislatore costituzionale intenda sottoporre l’ufficio del PM al controllo diretto del Ministro della giustizia, sia attraverso una valutazione di merito sull’uso degli strumenti di indagine, sia assoggettando l’esercizio dell’azione penale ai criteri stabiliti dalla legge ordinaria (art. 112 DDL), legittimando l’adozione di un vero e proprio indirizzo politico in materia di ordine pubblico, di cui i PM diventerebbero, per effetto delle determinazioni contenute nella predetta legge, meri esecutori; sia infine affidando alla discrezionalità del legislatore ordinario le modalità di disposizione della polizia giudiziaria, che non sarebbe più diretto, come è attualmente.
Concorre a sviluppare tali considerazioni anche l’arricchimento delle funzioni costituzionali del Ministro della giustizia. L’organo non avrebbe più solo l’attribuzione costituzionale dell’iniziativa disciplinare nei confronti del magistrato; verrebbe infatti (art. 110, co. 1, DDL) costituzionalizzata la funzione ispettiva sull’operato dei magistrati.
La logica che presiede alla definizione della condizione del PM risulta ispirata all’idea che l’organo debba essere fortemente limitato. Lo dimostra il fatto che mentre attualmente, essendo il PM parte integrante della magistratura, la sua indipendenza è specificamente oggetto di garanzia costituzionale. La revisione degli artt. 101 e 104 ad opera del progetto, se da una parte continua a mantenere la magistratura giudicante autonoma e indipendente per effetto della stessa norma costituzionale (art. 101, co. 2, DDL), dall’altra derubrica l’indipendenza dei pubblici ministeri a principio legale, da prevedersi sulla base di disposizioni ordinarie contenute nella legge sull’ordinamento giudiziario.
Si inserisce nella stessa logica, preordinata ad attrarre la condizione della magistratura giudicante e di quella requirente nell’ambito della ‘politica’, l’estensione del principio elettivo dei magistrati onorari, quale che sia il livello di giudizio e la composizione dell’organo (monocratico o collegiale). Infatti, l’elettività allargata in modo generalizzato a tutte le componenti della magistratura sottoporrebbe gli organi ai condizionamenti derivanti dalla maggioranza politica o alle interferenze dei gruppi di pressione.
In linea con la diminuzione generale dell’indipendenza della magistratura si colloca il contenuto dell’art. 113-bis del DDL, che reca la disciplina del regime di responsabilità civile dei magistrati. A dire il vero la legislazione vigente già identifica specificamente le fattispecie nelle quali il magistrato può essere chiamato a rispondere per dolo o colpa grave; la norma, generalizzando il principio della responsabilità, volutamente trascura le peculiarità della funzione giurisdizionale, assimilandola a quella amministrativa.
Un’ultima osservazione merita il problema dell’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento. Anche in tale caso il progetto appare dichiaratamente ispirato dal tentativo di frenare l’azione dei PM, a cui sarebbe preclusa la possibilità di far valere l’interesse generale della giustizia, sia nell’ipotesi in cui il magistrato maturi il convincimento dell’estraneità al fatto oggetto d’imputazione, sia nel caso in cui ritenga, sulla base degli elementi raccolti, di sostenere la colpevolezza dell’imputato.
Inoltre verrebbe impedito anche alle parti civili di far valere il diritto di appellare una sentenza di proscioglimento che reputino lesiva dei loro interessi. Sul punto esiste già, peraltro, un precedente negativo espresso dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.