Ecco di nuovo il gioco delle tre carte, gioco in cui si sa, il mazziere vince sempre.
La proposta geniale delle tre aliquote, che, dice, taglia tasse (o meglio, le imposte) a tutti, solo che lo fa in misura irrilevante per i redditi più bassi, e in misura sostanziosa invece per i redditi più alti. Certo, in un momento come questo, in cui la crisi morde e il problema del debito pubblico sembra essere l’unica priorità, che il governo tagli le sue entrate, soprattutto quelle più sostanziose sembra essere un controsenso. E allora, dove sta il trucco? Eccolo: l’apparente (ma ingannevole) buona notizia della riforma fiscale è accompagnata da un’altra: l’aumento dell’IVA, che sempre una imposta è. Roba di poco contro, uno pensa, pochi centesimi qui e lì. E pensa male, perché l’IVA si paga su tutto, dal pane che si mette a tavola fino alla carta igienica che si usa in bagno, con il risultato di un aggravio di spesa complessivo per le famiglie italiane che potrebbe anche essere rilevante. Risultato finale? Le tasse pagate, in realtà aumentano e, tanto per cambiare, peggiorano le condizioni di vita delle classi sociali meno abbienti.
La proposta è socialmente ingiusta anche per un altro motivo: colpisce tutti, poveri e ricchi, allo stesso modo. L’IVA, infatti, non prevede fasce, non tiene minimamente conto delle differenze di reddito.
Certo, l’IVA la paga chi compra, basta allora non comprare nulla (basta, ad esempio, rinunciare allo yacht). Peccato che per quelli che lo yacht lo vedono solo alla TV si tratta di stringere ancora di più la cinghia, di rinunciare a beni di prima necessità. Non credo che faccia un bell’effetto sulla famiglia mettere “il nulla” a tavola (o anche in bagno, ma tanto la carta igienica non servirebbe più). Senza pensare all’effetto negativo che questo avrebbe sul commercio e la produzione.
In nome dell’emergenza finanziaria i lavoratori dipendenti sono stati tartassati in tutti i modi possibili e stanno con l’acqua alla gola (e questi sono già fortunati rispetto ai precari e ai disoccupati), non sarebbe ora che, in nome della stessa emergenza, cominciassimo a invertire la rotta? Se una volta tanto, per salvare il paese dal tracollo, si cominciasse a prendere anche ai ricchi? Se aumentassimo le loro aliquote? Se aumentassimo la tassazione sulle rendite invece di mantenere quel ridicolo 12%? E se davvero venissero tassate le transazioni finanziarie? Almeno finché dura l’emergenza.
In fondo, ce lo debbono, perché spesso i ricchi sono tali grazie alle speculazioni finanziarie e sono proprio loro i responsabili del disastro mondiale nel quale ci troviamo.
Marina Clementoni
Marina Clementoni


